Elicottero Sar caduto, l'inchiesta passa a Frosinone
BRINDISI – Si è concluso dopo 16 mesi il lavoro della procura di Brindisi sul disastro del 23 ottobre 2008 a Isle-en-Barroise, quando nella caduta di un elicottero HH-3F dell’84mo Sar di Brindisi diretto in Belgio perirono gli 8 uomini dell’equipaggio. Il pm Antonio Negro ha infatti ravvisato la competenza territoriale della procura di Frosinone, e alcuni giorni fa ha inviato ai colleghi della città laziale il fascicolo sul caso, affidato ai carabinieri del Reparto operativo provinciale.
BRINDISI – Si è concluso dopo 16 mesi il lavoro della procura di Brindisi sul disastro del 23 ottobre 2008 a Isle-en-Barroise, quando nella caduta di un elicottero HH-3F dell’84mo Sar di Brindisi diretto in Belgio perirono gli 8 uomini dell’equipaggio. Il pm Antonio Negro ha infatti ravvisato la competenza territoriale della procura di Frosinone, e alcuni giorni fa ha inviato ai colleghi della città laziale il fascicolo sul caso, affidato ai carabinieri del Reparto operativo provinciale.
A Brindisi tuttavia è stato compiuto praticamente l’intero lavoro di accertamento sulla vicenda. I carabinieri hanno effettuato su disposizione del magistrato (l’indagine fu avviata il 25 ottobre, due giorni dopo la tragedia) tutte le attività di acquisizione degli elementi di prova e la verbalizzazione delle persone informate sui fatti, dei testimoni e degli indagati, passando dalle filiere industriali delle manutenzioni della linea di volo degli HH-3F, a quelle militari che si occupano degli interventi ordinari giornalieri e delle procedure di volo. Per il pm Antonio Negro ha lavorato come consulente d’ufficio anche il numero uno del Dipartimento inchieste tecniche dell’Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (Ansv), Vincenzo Pennetta, al quale era stata affidata la perizia sull’incidente, e che ha valutato anche le risultanze dell’inchiesta disposta dalla stessa Aeronautica Militare. Infine, ci sono le relazioni della procura di Verdun, competente per il territorio francese dove si schiantò l’HH-3F, che provvide ai primissimi accertamenti e al recupero dei reperti, a partire da una delle cinque pale del rotore trovata ad alcune centinaia di metri di metri dai resti combusti del velivolo.
Si intuì quasi subito che era stato il distacco di quella pala la ragione della perdita di portanza improvvisa che aveva fatto precipitare l’elicottero. Ma perché? La verità venne a galla –confermata poi anche dal perito della procura- nel capannone di Pratica di Mare dove gli specialisti dell’Aeronautica raccolsero ed esaminarono i rottami, collocati nello stesso hangar dove fu ricomposto il jet Itavia al centro del mistero di Ustica. La pala aveva ceduto nella parte del longherone cavo –quella agganciata al rotore- a causa di una frattura originariamente dovuta ad una piccola lesione provocata da un attrezzo. Il carico delle molte ore di volo successive aveva approfondito la crepa sino al distacco.
Eppure l’avaria era stata segnalata ai piloti da una spia d’allarme collegata ad un sensore inserito nel longherone. Malgrado ciò non era stato deciso l’atterraggio di emergenza. Per ora l’indagine attribuisce tale comportamento del comandante alle procedure previste dal manuale di volo in italiano. Quello originale acquisito dagli investigatori, predisposto dalla società americana titolare del brevetto degli HH-3, la Sikorsky, infatti prescrive la ricerca immediata di un punto idoneo a toccare terra. Ci fu un banale errore di traduzione, sembra, che condizionò la compilazione delle procedure per gli equipaggi del Sar italiano. E l’HH-3F continuò a volare con i piloti convinti che vi fossero ancora margini per raggiungere la tappa successiva, in Belgio. Fino a un campo a Isle-en-Barroise dove il velivolo cadde dopo essersi impennato bruscamente a causa della perdita di assetto.