Il vilipendio della Colonna romana, circondata da fumi di cucina e palloncini
Non sono molti i Comuni italiani che possono fregiarsi di avere nel proprio stemma civico l'immagine di un monumento appartenente alla propria tradizione storica e, per giunta, ancora esistente. Anzi, a dire il vero, sono pochissimi. Tra questi c'è la città di Brindisi
Non sono molti i Comuni italiani che possono fregiarsi di avere nel proprio stemma civico l’immagine di un monumento appartenente alla propria tradizione storica e, per giunta, ancora esistente. Anzi, a dire il vero, sono pochissimi. Tra questi c’è la città di Brindisi, che nel proprio stemma racchiude l’immagine del suo principale monumento storico-artistico: le due colonne romane, databili tra I secolo a.C. e II secolo d.C. e per tradizione considerate il termine della via Appia, la «Regina Viarum» come veniva soprannominata, che da Roma conduce a Brindisi.
Nel 2007, per rendere ancora più stretto, e visibile, il legame tra il monumento e la città, e soprattutto tra il simbolo civico e l’amministrazione comunale, il capitello della colonna superstite, al termine di un lungo e laborioso restauro, è stato trasferito in via definitiva nella sede di rappresentanza del Comune di Brindisi, il complesso di Palazzo Granafei-Nervegna, in cui, non a caso, ha sede l’ufficio del sindaco. La Sala della Colonna al piano terra, che occupa gli ambienti del palazzo dell’ex Corte d’Assise, è diventata – e non poteva essere diversamente – il luogo più importante del raffinato edificio di rappresentanza, dove è possibile ammirare a distanza ravvicinata i particolari scolpiti del capitello, raffiguranti Poseidone (che un tempo scrutava l’orizzonte in attesa di genti e merci dall’Oriente) o le nereidi o i muscolosi tritoni o le varie decorazioni floreali.
Ma cosa resta nel cuore dei brindisini di questa nobile memoria storica e che valore ha questo simbolo in pietra? Se dovessimo giudicarlo da quanto accaduto nella Sala della Colonna le sere del 5 e 6 dicembre 2014, in occasione del “Nervegna Art & Wine Festival”, la risposta sarebbe, inesorabilmente: nessun valore, nessuna memoria, nessun affetto. È mortificante vedere il simbolo di quella che un tempo fu una delle più importanti città del mondo (sì, delle più importanti) ridotto a fare miseramente da sfondo a un esclusivo “party” di spirito marcatamente, e sfacciatamente, commerciale, riservato ai pochi privilegiati in grado di accaparrarsi i costosi biglietti di ingresso, divisi per tipologia di consumazione.
Significa arrecare deliberatamente danni materiali e, soprattutto, immateriali al principale monumento pubblico di una comunità in violazione del “Codice dei Beni culturali e del paesaggio”: materiali perché le potenti onde sonore prodotte dalla musica ad alto volume, con le casse acustiche piazzate a ridosso del capitello, e i nefasti fumi della cucina, che hanno invaso gli ambienti del piano terra, hanno messo a repentaglio la sua conservazione; immateriali perché è stata lesa la sua immagine (che – è bene ripeterlo – è l’immagine stessa della città di Brindisi) e il suo significato intrinseco. Ancor più grave, però, è il danno arrecato ai partecipanti all’evento, in prevalenza giovani, che finiscono inevitabilmente per convincersi della bontà di simili iniziative e della possibilità di usare per tali fini, e in tali modi, i monumenti pubblici.
Appare evidente che a Brindisi si sia ampiamente oltrepassato il limite del buon senso e il senso della misura delle cose, come dimostrano, nell’ordine, la trasformazione del Castello Alfonsino in discoteca a pagamento nella notte dell’11 agosto 2012, la trasformazione del foyer del Nuovo Teatro Verdi (unico teatro al mondo sospeso su resti archeologici) in “dance floor” a pagamento nella notte di Capodanno 2013, la trasformazione di Piazza Duomo e della basilica cattedrale in discoteca nella notte del 31 agosto 2014 e, in ultimo, l’intollerabile vilipendio del simbolo identitario della città di Brindisi.
Ancora una volta, non è questo il modo di valorizzare il patrimonio storico-artistico brindisino (monumentale o eno-gastronomico che sia), considerato che così facendo si finisce col ridicolizzare e umiliare l’intera città e i suoi cittadini, particolarmente al cospetto dei turisti, come quelli che si sono trovati dinanzi l’antico capitello agghindato di palloncini colorati e avvolto dagli odori della cucina. Le iniziative eno-gastronomiche, a cui va dato il giusto risalto perché anch’esse parte integrante dell’identità culturale di un popolo, devono trovare posto in contesti appropriati, dove si possano tranquillamente cucinare alimenti, diffondere musica ad alto volume e collocare palloni gonfiabili senza arrecare alcun danno, materiale o immateriale, all’ambiente interessato e ai suoi monumenti.
In molti, forse, non verranno mai a sapere di questa storia, ma quei brindisini, degni di questo nome, che sapranno quanto accaduto nelle sere del 5 e 6 dicembre e vedranno le immagini dello scempio compiuto ai danni della colonna, e della sua identità morale, civica e storico-artistica (che è la nostra stessa, e inviolabile, identità morale, civica e storico-artistica), è bene che si indignino, perché non c’è risposta più forte dell’indignazione collettiva nei confronti dell’ignoranza che distrugge e annienta il passato di una città.