Petrolio e cozze nere: ecco cosa accadde al largo di Brindisi
Le magagne sono come le ciliegie, una tira l'altra. Sta accadendo nell'indagine della magistratura di Potenza che ha già provocato le dimissioni del ministro Federica Guidi: salta fuori infatti anche una vicenda brindisina. O meglio, un episodio accaduto venti miglia al largo del porto di Brindisi
BRINDISI – Le magagne sono come le ciliegie, una tira l’altra. Sta accadendo nell’indagine della magistratura di Potenza che ha già provocato le dimissioni del ministro Federica Guidi: salta fuori infatti anche una vicenda brindisina. O meglio, un episodio accaduto venti miglia al largo del porto di Brindisi, nella zona di estrazione petrolifera denominata FC2AG, in concessione ad Agip dal febbraio 1992 e in scadenza nel marzo del 2020, meglio nota come Aquila 2.
Una storie di cozze e di alterazione di un rilevamento scientifico, come si rileva dalle intercettazioni in possesso della procura lucana. Qui nel 2014 l’Ispra, l’Istituto superiore per la prevenzione e la ricerca ambientale, aveva collocato alcune gabbie contenenti mitili, ottimi bioindicatori di inquinamento marino perché questi molluschi filtrano e trattengono idrocarburi, metalli pesanti, agenti chimici.
Invece Aquila 2 ebbe il nulla-osta del governo senza Via, malgrado l’assessore regionale Nicastro avesse definito “lacunoso e parziale il lavoro di valutazione effettuato dalla Commissione Tecnica del Ministero, soprattutto in relazione ai rilevanti e negativi impatti ambientali connessi alla ripresa delle attività di coltivazione dei pozzi del Campo Aquila. La documentazione presentata dalla società proponente non evidenzia con il dovuto dettaglio le conseguenze delle operazioni previste sulla fauna marina adriatica”.
Nel settembre del 2014 la Capitaneria di Porto di Brindisi con ordinanza 87, a firma del comandante capitano di vascello Mario Valente, al termine di una istruttoria avviata dopo la richiesta dell’Eni del gennaio 2012 dichiarò interdetta in via definitiva la zona di estrazione, stabilendo una fascia di due chilometri dalla nave Fpso Firenze per il divieto di navigazione, e di 2900 metri per ancoraggio e pesca in profondità dal punto dove si trovano i pozzi. A rendere vani i controlli dell’Ispra ci hanno pensato invece, secondo la procura di Potenza, i due tecnici Eni intercettati. Su queste basi quali garanzie hanno le popolazioni costiere? E perché non si dovrebbe andare a votare al referendum quando basta qualche chilo di cozze nere per truccare la partita?