Rapina alla gioielleria Ipercoop, condannati quattro brindisini
Sei anni e sei mesi per Angelo Sinisi, Antonio Di Lena e Francesco Colaci, quattro anni e otto mesi per Cristian Ferrari imputati in abbreviato per il colpo del 3 dicembre 2014. Incastrati da Dna e intercettazioni dopo l'omicidio Tedesco, mai trovato il bottino. La difesa in Appello
BRINDISI – Condannati tutti e quattro i brindisini accusati di aver fatto parte del commando armato di fucile a canne mozze e mazze da baseball che piombò nella gioielleria Follie d’Oro dell’Ipercoop la mattina del 3 dicembre 2014: sei anni e sei mesi sono stati inflitti ad Angelo Sinisi, Antonio Di Lena, entrambi in carcere, stessa pena per Francesco Colaci, l’unico a essere tornato in libertà, e quattro anni e otto mesi per Cristian Ferrari, detenuto in una comunità.
Ferrari e Colaci sono stati identificati dal profilo genetico ricavato da tracce di impronte digitali lasciate sui guanti trovati nell’auto usata per il colpo, una Giulietta Alfa Romeo rubata a Carovigno. Per Ferrari ci sono anche tracce di sangue su frammenti di vetro delle couvette rinvenuti sia all’interno della gioielleria che su un porta-preziosi lasciato accanto allo sportello dell’auto, probabilmente nella fuga. Sul conto di Angelo Sinisi e Antonio Di Lena pesa il contenuto di alcune intercettazioni ambientali disposte nell’inchiesta sull’omicidio Tedesco.
Nel fascicolo sulla rapina c’è anche la seguente conversazione: “Compa’ adesso tutta Brindisi lo sa, è un casino, per bocca di quei due mocciosi scemi: non devono parlare, è stato un errore fare quella rapina con tutta la questura addosso per quella cosa di Alessandro e Andrea. Vi scannano, non ne sapevano niente e vogliono i soldi per la mancanza di rispetto. Il pensiero bisogna darlo”.
Era un momento particolare per la criminalità brindisina, secondo quanto evidenziato nell’ordinanza di arresto, perché “Romano e Polito poco avevano gradito un’azione criminale così efferata come quella dell’assalto armato nella gioielleria che aveva avuto come unico effetto quello di stringere le maglie del controllo ad opera delle forze di polizie”. L’11 dicembre 2014 Alessandro Coffa chiama a raccolta i ragazzi per rimproverare il gruppo della rapina e per il pm e il gip è questa la conversazione che vale più di un indizio, praticamente una prova, tanto da definire “granitico il quadro a carico degli indagati”: Coffa “riteneva di redarguirli per aver posto in essere l’azione nel periodo di latitanza dei due ricercati per omicidio, senza neppure una preventiva comunicazione a Romano”.
Sinisi e Di Lena si giustificano sostenendo che “i due latitanti non fossero più a Brindisi”, perché c’era chi sosteneva che fossero in Francia o comunque lontano da casa, e aggiungendo che quella gioielleria non fosse sotto la protezione di nessuno. In altri termini, non avevano pestato i piedi ad altri, né tanto meno avevano mancato di rispetto i grandi. A quell’incontro non si presentano né Francesco Colaci e né Christian Ferrari che verranno riconvocati il 16 dicembre da Sinisi per affrontare il discorso sulla “somma di tremila euro da consegnare ai latitanti, come compenso per i danni provocati dalla rapina commessa”. Somma che Sinisi avrebbe consegnato a Coffa, per girarla al solo Romano, niente invece sarebbe stato dato a Polito, arrabbiatosi di nuovo al punto da scrivere una lettera a Colaci.
Non è mai stato identificato un quinto ragazzo ritenuto componente del gruppo, il quale avrebbe avuto il ruolo di autista. Non è stato trovato neppure il bottino, di valore pari ad almeno centomila euro, nonostante le perquisizioni subito dopo la rapina.