Scu, il pentito Penna ai domiciliari in una località protetta
La difesa chiedeva le attenuanti generiche, dopo la condanna a 11 anni per l’omicidio di Toni Cammello. Confessò subito quello di Pasimeni dal quale era stato assolto
BRINDISI – “Detenzione domiciliare” per il pentito della Scu, Ercole Penna, 43 anni, originario di Mesagne. Dopo aver confessato diversi omicidi, per lo più come mandante essendo il capo della Sacra Corona Unita, ha ottenuto la patente di credibilità dallo Stato posta a base del beneficio che di recente gli è stato riconosciuto con riferimento al processo in cui è imputato per essere stato mandante dell’esecuzione di Antonio Molfetta, alias Toni Cammello.
I domiciliari
Per il fatto di sangue, ammesso davanti ai pm dell’Antimafia di Lecce nei primi giorni della collaborazione, Penna è ristretto in un’abitazione. Sulle spalle ha una condanna a undici anni di reclusione dalla Corte d’Assise d’Appello, con sentenza del 26 giugno 2017. La pena comprende anche la condanna per i tentati omicidi di Francesco Palermo e Franco Locorotondo e per il ferimento di Claudio Facecchia.
Le motivazioni sono state depositate di recente ed è dalla lettura della pronuncia dei giudici, togati e popolari, che si apprende della detenzione non più in carcere, ma in un appartamento, in una località segreta. Il luogo è noto solo al Servizio centrale di protezione. Qui in questo posto top secret il mesagnese si è rifatto una vita, lasciandosi alle spalle quella precedente come uomo dell’associazione di stampo mafioso, la Scu. Primi passi come affiliato che di anni ne aveva appena 17, come ha riferito in diverse occasioni lui stesso, in veste di imputato e teste nei processi dinanzi ai giudici.
L’omicidio di Antonio Molfetta
Ebbe modo di ripeterlo anche nel processo scaturito dall’inchiesta chiamata Pax, pure questa alimentata dalle sue dichiarazioni, sfociata negli arresti eseguiti il 14 ottobre 2013. In quella occasione Penna venne arrestato sulla base delle confessioni relative all’omicidio Molfetta che ammise come mandante: fu lui ad autorizzare l’eliminazione nelle logiche della Scu, alla fine degli anni Novanta. Era lo stesso periodo dell’omicidio di Ezio Pasimeni, datato 8 giugno ’98, fu il primo confessato da Penna a novembre 2010, un mese dopo essere finito in carcere nel blitz Calypso. Ricostruì subito la fine di Pasimeni perché per quel fatto di sangue venne assolto in primo e secondo grado. In via definitiva, per questo omicidio è stato condannato a nove anni di reclusione. Ai quali si aggiungono gli undici per l’omicidio Molfetta avvenuto il 29 maggio 98 (data della scomparsa). Il cadavere fu ritrovato il successivo 8 ottobre.
Penna mandante: il movente e la premeditazione
Molfetta venne “attinto alla parte destra del volto con un corpo contundente nonché al cranio e all’anca destra con due distinti colpi di arma da fuoco a munizionamento singolo di grosso calibro”, si legge nel capo di imputazione. Penna “autorizzava al compimento dell’omicidio Massimo delle Grottaglie (a sua volta ucciso), loro affiliato, il quale incaricava dell’esecuzione” un altro uomo della Scu, “Francesco Argentieri”.
Omicidio premeditato per agevolare l’attività della frangia mesagnese della Scu, mediante l’eliminazione di un soggetto considerato pericolo perché ritenuto confidente delle forze di polizia”.
Le attenuanti generiche chieste dalla difesa
La Corte ha ritenuto il motivo infondato. La difesa, quindi, potrebbe ricorrere in Cassazione. Secondo il collegio giudicante “il riconoscimento della circostanza attenuante della collaborazione, non implica necessariamente il riconoscimento delle attenuanti generiche”. Queste si “fondano su una globale valutazione della gravità del fatto e della capacità a delinquere del colpevole.
Il no della Corte d'Assise d'Appello
Nella sentenza è stato evidenziato che “Penna ha rotto con il proprio passato, ha reso fattiva collaborazione e ha portato avanti con costanza e determinazione, anche a costo di sacrifici personali e familiari, un buon comportamento processuale”. Tutto questo – si legge è stato alla base del “riconoscimento della cosiddetta attenuante ad effetto speciale e dell’esclusione della contestata e sussistente recidiva, ma non può legittimare la concessione anche delle circostanze generiche”. L’ostacolo è costituito dall’”obiettiva gravità del reato accertato, commesso nell’ambito di un programma pervicacemente organizzato ed eseguito con pericolo per la pubblica incolumità” e dal “ruolo apicale nell’ambito della consorteria mafiosa”.