Scu, l’ergastolano Campana dal carcere: “Chiamami con Whatsapp”
Antonio,fratello del pentito Sandro, è stato condannato in via definitiva per l’omicidio Delle Grottaglie. In cella è riuscito a contattare lo zio Igino: “Chiama tu che finisce il credito”
BRINDISI – “Ohu, buonasera amico mio, io a posto. Senti a me, prendi un telefono e chiamami con Whatsapp”. Antonio Campana, 39 anni, ergastolano, condannato in via definitiva al “fine pena mai” che vuol dire carcere a vita, per un omicidio di stampo mafioso, lì in cella, avrebbe avuto la disponibilità di un telefonino cellulare per parlare all’esterno con un affiliato, uno di fiducia al quale avrebbe poi affidato direttive per riscuotere il pizzo sui cantieri edili, sulle imprese della zona industriale e sulla gestione dei parcheggi.
Il retroscena
Assurdo, ma vero. Come sia stato possibile che Campana, detenuto nel carcere di Terni, per un fatto di sangue legato alla Sacra Corona Unita, sia riuscito ad avere un cellulare e parlare liberamente è oggetto dell’ultima inchiesta della Dda di Lecce, Oltre le mura. Le indagini hanno portato all’esecuzione di 12 ordinanze di custodia cautelare in carcere, partendo dallo stesso Antonio Campana, riconosciuto colpevole in via definitiva dell’eliminazione di Massimo Delle Grottaglie, il 16 ottobre 2001, in concorso con Carlo Gagliardi (estraneo a questo filone d’inchiesta e condannato anche lui all’ergastolo).
Il fratello pentito
Quelle affermazioni sono state ritenute più volte credibili in sede processuale, tanto è vero l’accusa mossa da Sandro Campana nei confronti di Francesco è stata alla base della condanna all’ergastolo di quest’ultimo per l’omicidio di Antonio, detto Tony, D’Amico, fratello di Massimo, il vecchio Uomo Tigre della Sacra Corona Unita. Per vendetta trasversale il fratello, assolutamente estraneo ai contesti della criminalità organizzata, venne ucciso mentre stava pescando sulla diga di Brindisi.
Il blitz e l'inchiesta
Il procedimento nasce dall’indagine della Procura di Treni su un “traffici di telefonini cellulari rubati e oggetto di ricettazione”, arrivati anche all’interno della casa circondariale di Terni, su segnalazione gli agenti della penitenziaria. Nel carcere erano detenuti Raffaele Martena e Antonio Campana, per l’accusa, in “posizione di vertice nella gerarchia dell’associazione di tipo mafioso”, la Sacra Corona Unita: “Entrambi comunicavano all’esterno”, oltre le mura (da qui il nome scelto per il blitz) dando disposizioni ai propri affiliati sul territorio di Brindisi”. Nella foto, Sandro Campana.
Il 13 luglio dello scorso anno, alle 20.26, Antonio Campana chiama lo zio Igino Campana e gli chiede di passargli Jury Rosafio: “Buonasera, amico mio”. “Come stai?”, gli chiede. “Io a posto e tu?”. “Rosafio: “E diciamo di sì, andiamo avanti, dimmi tutto”. La richiesta di Antonio Campana: “Senti a me, prendi un telefono e chiama con Whatsapp. Chiamami, hai capito”. Rosafio chiede: “Ci messaggiamo?”. E Campana: “No, chiamami direttamente”.
Qualche minuto dopo, esattamente alle 20,38, sull’utenza telefonica in uso al detenuto Campana, arriva il messaggio: “Amico mio, non ci sei sopra a wozapp” (il testo è riportato in questi termini, ndr). A quanto pare, sarebbe stato impossibile utilizzare l’applicazione. Antonio Campana, a questo punto, “imponeva allo zio di rintracciare nuovamente Rosafio e di passargli il telefono”. Cosa avvenuta alle 20,42 di quella stessa sera. Campana avrebbe poi passato il telefono a Martena e questi “incarica Rosafio di andare da quello che ha i negozi a Lecce, Brindisi e Mesagne”.
Le altre intercettazioni dal carcere
Stando a quanto accertato nell’inchiesta Oltre le mura, “uno dei telefonini rubati e ricettati era in uso anche Martena e Campana” e il “contenuto delle intercettazioni appare insolitamente esplicito”. Probabilmente perché nessuno dei due immaginava di finire sotto intercettazioni, non essendo l’utenza telefonica riconducibile né a loro, né tanto meno a familiari. Secondo i pm, “la gran parte delle intercettazioni non necessitano di interpretazione e rilevano con solare evidenza come Martena e Campa approfittino di una preziosa e verosimile irripetibile occasione, per comunicare liberamente con l’esterno e impartire direttive relative al funzionamento dell’organizzazione mafiosa”. Tutti i “soggetti contattati nel corso di queste telefonare, sono parte integrante del sodalizio”. In nessun caso, stando ai risultati delle indagini, i due detenuti avrebbe usato il telefono per contattare i parenti: “Mai sono emerse chiamate verso mogli e figli”, si legge negli atti dell’inchiesta.
Il credito
Di fronte alle accuse, sia Antonio Campana che Raffaele Martena hanno scelto la facoltà di non rispondere davanti al gip del Tribunale di Terni in occasione dell’interrogatorio per rogatoria.